IL POPOLO n. 45 del 28.11.2021
IL POPOLO
Aspettando l’Assemblea Sinodale
"Dammi o Dio un cuore che ascolta" (1 Re 3,9)
Aspettando l’Assemblea Sinodale
"Dammi o Dio un cuore che ascolta" (1 Re 3,9)
Uno dei bisogni fondamentali di ogni persona è di parlare e di parlare di sé. Per poter però comunicare bisogna che ci sia qualcuno disposto ad ascoltare.
Ascoltare correttamente sembra un atteggiamento passivo, ma è, invece, un atteggiamento attivo perché richiede una attenta presenza di sé ed un investimento delle proprie energie.
Saper ascoltare è saper far tacere sé stessi e dare precedenza all’altro. Offrire ascolto è offrire ospitalità.
SENTIRE ED ASCOLTARE
Nel sentire, il suono giunge fino a noi e ci tocca, noi lo avvertiamo, ne percepiamo le vibrazioni, ma possiamo continuare a fare ciò che stiamo facendo, a pensare a ciò cui stiamo pensando. L’interiorità rimane estranea. Nell’ascoltare, è ancora il suono che viene fino a noi, ma siamo anche noi ad andare verso di lui, lo accogliamo, lo consideriamo, ne discriminiamo i significati e, forse, i messaggi.
Sentire consente di continuare a pensare ad altro, ascoltare non lo permette. Per ascoltare bisogna volerlo. L’ascolto perché sia tale ha bisogno di mettere in funzione tre dimensioni: l’udito, la mente (l’intelligenza), il cuore.
L’ascolto è un processo difficile perché richiede un decentramento, mettersi cioè dal punto di vista dell’altro e questo esige molto impegno perché non è un atteggiamento naturale e spontaneo, ma può essere appreso e poi messo in pratica.
Ci sono tre livelli di ascolto:
1. Ascolto superficiale quando si è più concentrati su sé stessi che su ciò che l’altro ci sta dicendo;
2. Ascolto parziale è l’ascolto del contenuto di ciò che viene detto, ma non delle risonanze emotive;
3. Ascolto attivo: è quando si ascoltano le parole (il contenuto) e le risonanze emotive (il vissuto di chi sta parlando) e nell’osservazione si coglie anche il non verbale.
Potremmo quindi dire che l’ascolto attivo è il saper ascoltare in profondità, essere dalla parte di chi parla e sapere di non sapere. Ascoltare significa lasciare dire le parole, ascoltare il silenzio della presenza, ma anche dell’assenza.
"L’ascolto è ospitale, discreto, ma potente, in quanto, se possiede l’amore dell’ascolto, è uno strumento trasformativo." (Dalle Parole al dialogo - Colombero)..
L’ascolto è quindi un insieme di atti percettivi attraverso i quali entriamo spontaneamente o volontariamente in contatto con l’altro.
Attraverso l’ascolto si attivano sempre tre processi:
- RICEZIONE
DEL MESSAGGIO
Disponibilità, empatia (atto di volontà, capacità di comprendere con sincero interesse come è fatto l’altro)
Attenzione non strutturata (non farsi condizionare da pregiudizi già strutturati).
- ELABORAZIONE
DEL MESSAGGIO
Bisogna prestare attenzione a:
- La relazione che si instaura tra chi parla e chi ascolta
- Il contenuto, l’informazione trasmessa
- La richiesta implicita (che cosa mi sta chiedendo?)
- L’autorivelazione di chi parla, che cosa mi dice di sé.
- RISPOSTA
AL MESSAGGIO
È fondamentale saper dare risposte adeguate.
L’ascolto efficace si attua perciò attraverso l’osservazione del:
- verbale: ciò che viene detto
- silenzio: ciò che non viene detto
- paraverbale: come viene detto
- non verbale: ciò che viene espresso dalla postura, dal corpo e dalla gestualità.
Un aspetto importante da tenere in considerazione è quello di saper prestare attenzione alle risonanze che suscita in chi ascolta ciò che viene comunicato.
OSTACOLI
ALL’ASCOLTO
È difficile ascoltare imparzialmente, senza interferenze o pregiudizi. Per questo è importante imparare a riconoscere i filtri che condizionano l’ascolto.
Gli ostacoli più frequenti:
- l’ansietà: difficoltà ad ascoltare l’altro perché si è preoccupati per sé stessi per come si è percepiti;
- la superficialità: si fa fatica a scendere in profondità;
- la tendenza a giudicare: partendo dalle proprie convinzioni;
- l’impazienza: si interrompono gli altri prima che abbiano finito di palare;
- la distrazione: la mente vaga altrove, impedendo l’attenzione a ciò che viene comunicato;
- la passività: avere uno sguardo distratto assente o sfuggente, compiere altre azioni durante l’ascolto, avere fretta nell’offrire soluzioni;
- la tendenza a selezionare: si risponde scegliendo un terreno conosciuto.
Una traccia metodologica possibile potrebbe essere attraverso questi 5 punti:
1 - considerazione positiva dell’altro, di chi sta parlando (considerare l’altro distinto da me e riconoscere la sua dignità).
2 - la sospensione del giudizio (quando si riceve un messaggio che va contro il nostro modo abituale di comprendere e di agire, è facile che le nostre reazioni modifichino il messaggio ricevuto. È importante non far coincidere la persona con il suo comportamento).
3 - prestare attenzione fisica e mentale (anche il corpo parla e si esprime).
4 - lasciar parlare
5 - attendere prima di rispondere.
Il piano comunicativo non è uguale per tutti, si comunica in modi diversi.
Attenzione ai processi percettivi, la percezione è la modalità attraverso la quale entriamo in contatto con la realtà.
Ciò che percepiamo è influenzato da tre fattori:
1 - I nostri schemi mentali (cosa ho in testa, cultura, ecc.);
2 - Il nostro stato emotivo (come sto in quel momento, sentimenti, ecc.);
3 - La nostra storia passata(chi sono? il vissuto, le radici, l’esperienza di vita, ecc.)
Nel percepire la realtà non si è mai completamente obiettivi
MECCANISMI
NELLA PERCEZIONE
Alcuni meccanismi che mettiamo in atto (involontariamente) durante le nostre percezioni:
- Quando conosciamo dell’altro alcune caratteristiche e gli attribuiamo tutta la personalità, ad esempio cultura, provenienza,
- Quando ascoltiamo dell’altro solo ciò che ci dà ragione, non ci mettiamo in discussione;
- Quando facciamo di tutto perché l’altro sia come noi vogliamo, che risponda alle nostre aspettative;
- Quando ci si ferma alla prima impressione (impatto solo emotivo);
- Quando si ha la pretesa di sapere cosa l’altro sta pensando senza ascoltare.
L’ascolto è una carezza della comunicazione se è efficace è trasformativo.
SUGGERIMENTI
DI METODO
Convocazione del consiglio pastorale
All’inizio dell’incontro dare spazio ad un breve momento di presentazione da parte di ogni partecipante (nome.. e da dove vengo..).
Consegna dell’obiettivo dell’incontro da parte del facilitatore/facilitatrice (parroco o chi per esso). Assicurarsi che l’obiettivo sia stato compreso (es: sono stato/a abbastanza chiaro/a?)
Il facilitatore coordina l’incontro dando la parola e cercando di dare un giusto tempo a tutti per intervenire.
Il facilitatore ascolta in modo accogliente, non interrompe e rilancia al gruppo i punti importanti emersi (tutto è importante). Rilanciare aiuta tutti a tenere l’attenzione.
Cerca con garbo di frenare chi parla troppo (es: interessante quello che stai dicendo se riesci a concludere così diamo la parola ad altri) e cerca di incoraggiare con delicatezza chi deve ancora parlare (esempio: se te la senti sarebbe importante poter ascoltare anche la tua opinione..)
Nel caso ci fosse un’esposizione non troppo chiara si potrà chiedere a chi sta parlando di ripetere il concetto (esempio: meglio non dire: non ti sei espresso bene, Ma: scusa non sono riuscito/riuscita a comprendere bene... )
Nel rilanciare i concetti emersi, il facilitatore cercherà di essere il più fedele possibile a ciò che è stato detto, darà così la possibilità a tutti di integrare o aggiungere.
Il facilitatore è tenuto ad ascoltare anche le eventuali critiche senza mettersi sulla difensiva, ascoltare quindi senza reagire in modo non positivo sapendo che anche le critiche possono far crescere.
Per la lettura attiva dei quaderni, l’ascolto attivo e la raccolta finale si potrebbero seguire queste tre direzioni:
1 punti di forza:
2 punti critici sui quali non si è d’accordo
3 le novità da introdurre non presenti nel testo.
IL TERRITORIO
Quando parliamo di territorio è necessario rivolgere lo sguardo "oltre" i confini delle nostre parrocchie e delle nostre comunità. Il territorio - nel suo senso più ampio - le include ma non coincide esclusivamente con esse. Moltissime altre realtà lo vivono e lavorano per il suo bene e per la sua crescita esattamente come facciamo anche noi. Mettersi in ascolto del territorio comporta uscire dal nostro recinto dove ovviamente ci sentiamo al sicuro (quella che oggi si chiama comfort zone) e rivolgerci lá dove non siamo più maggioranza, dove la nostra parola vale come quella di chiunque altro o, spesso capita, non sia nemmeno ben accolta o di interesse.
Ci sembra necessaria questa premessa perché bisogna che non si cada assolutamente nella trappola di ascoltare solo ciò che si vuole sentire o solo ciò che ci fa piacere. Occorre evitare di ascoltare solo i "nostri" sebbene questi operino sul territorio, ma rivolgersi con decisione e coraggio ad extra, verso ciò che in effetti non conosciamo. Senza questo, tutto il nostro lavoro sarebbe inutile e renderebbe improduttiva la fase di ascolto che stiamo vivendo.
Mettersi in ascolto del territorio significa anzitutto conoscerlo in ogni sua specificità. Potrebbe essere utile, prima di formulare una proposta di incontro, provare a suddividerlo. Probabilmente ci viene più facile comprenderlo per "enti": il pubblico come il comune, la pro-loco, la scuola e il privato come fabbriche, negozi, studi medici ecc.
Di sicuro questa prima suddivisione ci aiuta ed è necessaria ma non è detto che sia esaustiva ed inclusiva di tutto il territorio.
Esso é infatti abitato da famiglie, coppie, single che non sempre riusciamo ad intercettare attraverso le attività parrocchiali, perché non frequentano o non sono per nulla interessati al messaggio cristiano. Oppure giungono a noi saltuariamente per ottenere servizi e/o sacramenti. Bisogna cercare di avvicinarsi a loro, instaurare un dialogo, coltivare una relazione nuova dove siamo noi mendicanti dell’attenzione dell’altro e non viceversa.
Appare chiaro dunque che i livelli sui quali lavorare per approntare una strategia di incontro sono almeno due: quello per categorie di persone e quello per individualità. Non sempre e non con tutti sarà possibile incontrarsi per categorie. Può essere più facile con le amministrazioni pubbliche, con le pro-loco, con il mondo del volontariato, con i lavoratori, con i pensionati ma con tanti altri residenti sul nostro territorio occorrerà incontrarli informalmente come piccoli gruppi di individui.
Per fare un esempio: gli abitanti di un condominio non possono essere identificati in un’unica categoria perché si tratta di gruppi vasti e complessi fatti di giovani, adulti, anziani, bambini. Potrà essere una soluzione incontrare due/tre famiglie insieme e con loro parlare di qualche punto più interessante per la loro vita piuttosto che convocare tutto un condomino e rischiare di non portare a casa nulla! E così farlo a poco a poco con tutti. Sarà successiva l’elaborazione delle risposte, dopo averne ascoltate il più possibile e aver colto anche le differenze di vedute tra le individualità al proprio interno. I genitori, se ci sono anziani, adolescenti, ammalati, diversamente abili.
Altro esempio: per cogliere il pensiero di chi in effetti è fuori dai nostri radar sarà inutile provare ad organizzare degli incontri perché ovviamente questi non verranno mai. Un pensiero interessante da raccogliere sarà quello degli adolescenti e dei giovani ma come fare visto che si tratta forse dei più riluttanti alla vita della chiesa? L’unica maniera che ci sembra di poter suggerire e che siano i nostri adolescenti e giovani a mettersi in ascolto in maniera informale come sanno fare loro. Teniamo conto e proviamo ad usare le piattaforme digitali per creare dei sondaggi dove essi si sentano più liberi di esprimersi senza giudizio e senza paura.
Firma Firma
Uno dei bisogni fondamentali di ogni persona è di parlare
e di parlare di sé. Per poter però comunicare bisogna che ci sia qualcuno disposto
ad ascoltare
Ascoltare correttamente sembra un atteggiamento passivo, ma è, invece, un atteggiamento attivo perché richiede una attenta
presenza di sé
Nel sentire, il suono giunge fino a noi e ci tocca, noi
lo avvertiamo, ne percepiamo le vibrazioni, ma possiamo continuare a fare ciò che stiamo facendo, a pensare a ciò cui stiamo pensando. L’interiorità rimane estranea.
Nell’ascoltare, è ancora il suono che viene fino a noi, ma siamo anche noi ad andare verso di lui, lo accogliamo, lo consideriamo, ne discriminiamo i significati e, forse, i messaggi. Sentire consente
di pensare ad altro, ascoltare non lo permette